Ucciso e sciolto nell’acido dalla camorra per errore, famiglia rifiuta risarcimento dei killer

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Ucciso e sciolto nell'acido dalla camorra per errore, famiglia rifiuta risarcimento dei killer

I familiari di Giulio Giaccio, sequestrato, ucciso e sciolto nell’acido a Pianura da uomini del clan Polverino, per errore, hanno rifiutato un’offerta risarcitoria dei killer.

Giulio Giaccio fu sequestrato da finti poliziotti, ucciso da killer del clan Polverino e sciolto nell’acido a Napoli nel 2000. Aveva 26 anni. Giaccio fu ammazzato per un errore di persona. Gli assassini volevano vendicare un torto subito da un boss detenuto. E mentre si attende la prima udienza del processo, in programma per oggi a Napoli, i due imputati hanno scritto ai giudici e alla famiglia per un’offerta risarcitoria. Tre assegni e due beni immobili da considerare «a titolo di integrale risarcimento del danno materiale patito». Il totale dei liquidi ammonta a 30 mila euro, il valore degli immobili a 120 mila. Ma, fa sapere il Mattino, la famiglia di Giaccio ha detto di no.

“Chi giustifica o addirittura solidarizza con i clan della camorra non dimentichi mai le storie come quella di Giulio Giaccio ammazzato e sciolto nell’acido per un errore di persona da parte del clan Polverino. Onore e rispetto per la famiglia di questo ragazzo che viveva onestamente e che ha rifiutato il risarcimento dei camorristi. L’unico vero risarcimento è una condanna durissima all’ergastolo per chi ha ucciso senza pietà l’ennesimo innocente. Che questa vicenda sia di esempio per tutti” dichiara il deputato dell’alleanza Verdi- Sinistra Francesco Emilio Borrelli.

LA STORIA

Domenica 30 luglio 2000, in piazzetta Romano a Pianura, Giulio Giaccio fu prelevato da un commando di 4 uomini che indossavano pettorine da poliziotti. «Sei tu Salvatore?», gli chiesero. Lui rispose: «No, comandante. Mi chiamo Giulio». Lo invitarono lo stesso a seguirli in caserma. «Stai tranquillo, è solo un semplice controllo», dissero con una bugia. Non erano agenti ma camorristi ai quali Cammarota aveva chiesto una punizione perché Salvatore aveva una relazione con la sorella del boss, che era divorziata. Ma Giulio non era Salvatore e non aveva alcuna relazione.

Il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, all’epoca esponente di rilievo del clan Polverino, fece parte del gruppo dei sequestratori e descrive quel giorno come «il capitolo più nero e angoscioso della mia storia criminale». Giulio, si legge nel verbale, una volta salito in auto «continuava a protestare. Diceva di non essere Salvatore e di essere una brava persona perché lavorava come muratore». Poco dopo fu ucciso con un colpo di pistola e il corpo sciolto nell’acido. Da quel momento, la madre e gli altri familiari dell’incolpevole Giulio non hanno smesso di cercare risposte all’inspiegabile scomparsa del ragazzo. La verità però emerse solo dopo vent’anni.