Otto ergastoli: questa la sentenza emessa dal gup di Napoli Luana Romano nei confronti degli otto imputati, tra cui il boss Ciro Rinaldi, ritenuti mandanti ed esecutori materiali del duplice omicidio della vittima innocente Ciro Colonna, 19 anni, e di Raffaele Cepparulo, elemento di vertice del gruppo camorristico dei cosiddetti “barbudos” del rione Sanità, inizialmente legato al boss Genidoni e poi confluito nel clan De Micco di Ponticelli. Una tragedia consumatasi nel pomeriggio del 7 giugno 2016, in un circolo ricreativo del quartiere Ponticelli di Napoli, dove il giovane Ciro Colonna stava aspettando un amico giocando a biliardino.
Il giudice ha accolto le richieste formulate dal sostituto procuratore antimafia Antonella Fratello. Gli imputati rispondevano di duplice omicidio, con le aggravanti dell’uso illegale delle armi, della premeditazione e della matrice camorristica. Si tratta di Giulio Ceglie, Cira Cipollaro, Anna De Luca Bossa (componente della nota famiglia criminale), Luisa De Stefano Vincenza Maione, Michele Minichini, Antonio Rivieccio e del boss Ciro Rinaldi. A ordinare il raid fu proprio Rinaldi, latitante fino al 17 febbraio 2019. Tutti, in concorso, organizzarono e resero possibile l’agguato che costò la vita al povero Ciro, colpito da un solo proiettile all’addome sparato da Antonio Rivieccio, esecutore materiale insieme con Michele Minichini.
Numerosi, invece, furono quelli che raggiunsero Cepparulo: alla testa e in altre parti del corpo. A decidere l’assassinio di Cepparulo furono i vertici del clan Rinaldi e del clan delle Pazzignane, con l’obiettivo di affermare il proprio predominio, rispettivamente, a Ponticelli (Rione De Gasperi) e San Giovanni a Teduccio e zone limitrofe. Dopo una decina di giorni, per una decina di giorni, Ciro Colonna venne ritenuto vicino alla camorra ma alla fine la verità venne a galla: era un ragazzo di appena 19 anni, con un diploma di ragioneria, lontano dalle dinamiche criminali e con un sogno nel cassetto: lavorare all’estero.
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