Un gobbo napoletano: Tevez, el jugador del pueblo, altro che badboy

Una delle domande che spesso si sono sentite, dopo l’acquisto di Tevez da parte della Juventus, ma soprattutto dopo avergli assegnato la maglia numero 10, è stata: ”Ma un badboy come Tevez, un calciatore dal carattere così difficile da gestire, può indossare la maglia di Platini e Del Piero, due gentiluomini del calcio internazionale?”

Io non so chi sia che dà le dritte ai giornalisti della carta stampata, ma è meglio che cambino fonti e, forse, anche pusher. Tevez una testa calda? Si saranno confusi con Suarez, altro grandissimo giocatore sudamericano, uruguayano per la precisione, attaccante del Liverpool. Quel Suarez che ha dato un morso ad un avversario ricevendo i complimenti anche da Nosferatu in persona. Deve essere per forza così, altrimenti non si spiega.

Tevez, nella sua lunga carriera, mai ha mostrato un carattere particolare, difficile da gestire, non ha mai rivolto insulti razzisti agli avversari, non ha mai sputato o fatto falli pericolosi. Quel suo volto temprato dal tempo e dalle esperienze dolorose del passato, potrebbero far credere il contrario, ma Tevez è el jugador del pueblo, il giocatore del popolo. In Argentina lo amano per la sua profonda umanità, Tevez non ha mai dimenticato il ”barrio” – i quartieri poveri argentini – in cui è nato e dove ha cominciato a dare calci ad un pallone fatto di stracci.

Le sue magliette, che mostra dopo un gol, su cui scrive il nome, di volta in volta, di un barrio, lo confermano. Ma la dedica su una maglietta per molti non è sufficiente? Beh, sappiate che Tevez è anche il titolare di alcune mense, dove i bambini più poveri del suo paese natio possono ricevere cibo. Questo è Tevez, un calciatore che lotta su ogni pallone, che prende calci a ripetizione, ma non protesta, si alza e continua a lottare per la sua squadra.

Si sa, gli antijuventini, tra cui ci sono anche molti addetti ai lavori, devono cercare sempre un modo per destabilizzare l’ambiente e per riprendersi una rivincita sul rodimento di fegato subito dopo l’acquisto del fuoriclasse argentino. Come lo fanno? Inventandosi che è un ragazzaccio, che è un orco e che quindi la numero 10 sarebbe stata gettata ai porci. Tutti ricordano Platini e Del Piero, ma nessuno mai che ricordi Omar Enrique Sivori, l’angelo dalla faccia sporca, el cabezon.

Sivori ebbe il 10 sulle sue spalle e lungi da me dire che fosse un giocatore sleale, anzi, ma era genio e sregolatezza, questo lo sanno anche le sedie dello stadio. Un giocatore irriverente, permaloso, che una volta dovette ricevere uno schiaffo da Charles, il gigante buono gallese, suo compagno d’attacco in una Juve stratosferica, per calmarsi, altrimenti chissà cosa avrebbe fatto all’arbitro. Dunque, prima di inventarsi storie su un professionista, su un uomo dello spessore di Tevez, meglio contare fino a 1000.

 

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Michele Longobardi

Laureato in Lettere moderne alla Federico II. Appassionato di videogiochi, calcio, cinema e letteratura. Crede che il giornalismo non sia solo ricerca della verità, ma anche sapiente uso di ironia e sarcasmo.

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