Il nuovo romanzo di Giancarlo D’Angelo si intitola “Un paese perfetto”, edito da Rossoquadro, racconta un luogo di mezzo dove nulla sembra accadere, la calma di facciata di un piccolo centro chiamato “Morigerato”. Con scrittura ridondante e ricca di dettagli, l’autore racconta come sotto la cenere si possa covare un fuoco imperioso.
L’autore è nato il 24 maggio del 1967 a Sant’Angelo dei Lombardi, Avellino e vive, sin dall’infanzia, a Monteforte Irpino (Av). Laureato in Scienze Politiche è impiegato presso una società di servizi pubblici. Appassionato di giornalismo e di lettura sin dall’infanzia. A dicembre 2020 la pubblicazione del primo libro La strada laterale, seguito nel 2022 da: Anche le farfalle parlano. È ora uscito il suo terzo romanzo dal titolo Un paese perfetto.
Il Vicebrigadiere Paolo Attignani rimane ferito in un conflitto a fuoco e viene trasferito nel comune di Morigerato, dove gli amministratori e la cittadinanza hanno attuato un ambizioso modello di perfezione urbanistica e sociale. L’assenza di episodi criminali contraddistingue, ormai da tempo, la tranquilla quotidianità del paese, rendendo quasi inutile la presenza del Vicebrigadiere in quel luogo. Ma repentini e tumultuosi eventi di una notte di giugno particolarmente calda, cambieranno per sempre il suo destino e quello del paese.
- Giancarlo benvenuto. Il tuo terzo romanzo, “Un paese perfetto” raccoglie in sé tutti gli aspetti degli esseri umani. Morigerato, così si chiama questo posto. Partiamo dall’inizio e da dove nasce l’idea per questa storia.
I tre romanzi hanno, in realtà, ognuno una genesi differente. “Un paese perfetto” nasce da una specie di promessa fatta a me stesso quando ho iniziato questa avventura con la scrittura. Le prime righe che scrissi allora riguardavano una lettera un po’ misteriosa che mi orientò, in un primo momento, verso un racconto giallo. Poi “La strada laterale” prese il percorso dei sentimenti che in quel momento era sicuramente più consono, lasciando, però, giacente l’aspirazione di confrontarmi con questo genere letterario, seppure, a mio modo di vedere, “Un paese perfetto” è un giallo anomalo. Allo stesso tempo aggiungerei un’ispirazione al contrario, cioè come punto di arrivo: quello di voler rappresentare e riflettere su alcuni argomenti come la perfezione, l’estetica, le apparenze e allo stesso tempo inoltrarmi nell’esplorazione dell’animo umano. Il giallo ho ritenuto si connettesse bene con tali argomenti perché il crimine è uno degli esempi più lampanti delle devianze umane che hanno, come conseguenza e, a volte come presupposti, ombre e solitudini.
- L’arrivo in paese del vicebrigadiere Paolo Attignani, in un certo senso, porta scompiglio nel cosiddetto “paese perfetto”. È più il suo modo di essere, oppure perché è un elemento disturbante?
Il Vicebrigadiere protagonista della vicenda rivela di non aver mai assecondato gli ambiziosi scopi perseguiti dalla cittadinanza e dagli amministratori, per cui si percepisce anche come elemento disturbante. Sicuramente ciò che avrà una funzione determinante nel racconto saranno gli eventi che contraddistingueranno la sua permanenza in Morigerato, soprattutto la settimana narrata nel libro in cui si racchiude la parte determinante della sua vita e della sua carriera. L’analisi del suo modo di agire è interessante perché rivela la difficoltà degli esseri umani, anche se integerrimi, di persistere fino in fondo nella virtù.
- Come può essere possibile che esiste “Un paese perfetto” e a quale prezzo gli abitanti sembrano aver raggiunto tale perfezione?
Non esiste infatti. È una creazione delle menti che l’hanno concepito e che cercano il convincimento di tale proposito. La ricerca intrapresa e condivisa è proprio quella di potersi vantare di una perfezione fittizia, fragile e soggettiva e allo stesso tempo inculcare un progressivo miglioramento del benessere derivato dall’isolamento. Il paese, come gli stessi uomini, sconta il dualismo tra l’eccessiva razionalità messa in atto (presunta perfezione) e la passionalità (fonte di magnifica imperfezione) assente nel paese. È una specie di circolo vizioso.
- Ordine e costanza è uno dei motti che governa l’andamento del paese che sembra chiuso ai cambiamenti. Posso dire che fai riferimento alla nostra società sempre più ripiegata su se stessa?
Il riferimento all’appiattimento sociale è evidente soprattutto se si immaginassero realmente tanti paesi presunti perfetti. L’eccesso di razionalità e di regole non ha mai portato da nessuna parte. Rappresentano frangenti di presunta perfezione destinati a tramontare, direi fortunatamente. Le voci fuori dal coro, rispetto a intenti del genere, risultano, pertanto, fondamentali.
- Vogliamo raccontare un po’ il rapporto personale e lavorativo che c’è tra il vicebrigadiere Attignani e il Maresciallo Mauro Costa?
Il rapporto personale è simile alle amicizie dell’infanzia, quelle che restano indelebili per tutta la vita anche vivendo a distanza. Il rapporto lavorativo è di grande stima reciproca. Insomma un legame saldo che si rivelerà complicato a causa delle vicende che interferiranno proprio sulla loro amicizia. L’ammirazione di Attignani rispetto all’unione esemplare che lega il Maresciallo alla moglie Valeria è un elemento su cui riflettere rispetto all’andamento delle vicende.
- Parliamo di Tiffany, la farmacista, un personaggio interessante, ma anche dotata di una certa ambiguità.
In effetti il romanzo vede come protagonista assoluto il vicebrigadiere per cui la figura di Tiffany resta meno definita divenendo anch’essa personaggio secondario. L’alternanza con cui appare in scena porta a rimarcare meno tutte le sue componenti emotive e caratteriali. Il sentimento da lei provato è, però, sincero.
- La morale del tuo libro è che la perfezione non esiste e che nessun paese perfetto apparentemente può nascondere a lungo l’imperfezione dell’uomo. Tutti i personaggi di questa storia ce lo insegnano. Qual è il tuo punto di vista?
Il percorso attraverso la presunta perfezione mi ha portato a riflettere basandomi su diversi elementi per poi transitare sull’esplorazione dell’animo umano. Primo fra tutti l’estetica del paese per poi analizzare anche le espressioni artistiche e infine quelle della natura attraverso il fluido che si insinua all’interno delle vicende condizionandole. Forse qualcosa di perfetto si trova proprio nell’ambito naturale. La mia è stata anche una riflessione su quanto anche la presunta perfezione potesse rivelarsi fragile mettendo prima o poi a nudo le lacune umane. La perfezione estetica non può esistere perché rimarrà sempre nell’ambito soggettivo e quella umana non è possibile finché esisteranno le passioni. Se infatti si analizzasse un automa, forse si troverebbe la perfezione, ma la natura umana è lontana, per fortuna, da un simile paragone. Per cui occorre accontentarsi di quello che siamo e cercare sempre di fare la scelta migliore tra ciò che vorrebbe il cervello e ciò su cui, invece, spinge il cuore.
- Giancarlo, in conclusione, come nutri la tua scrittura, cos’è che ti ispira? Questo romanzo è l’emblema di una riflessione importante che tu fai sull’animo umano.
La mia scrittura rappresenta il coronamento di una passione, magari anche di un’attitudine. Scrivo perché la sento come un’esigenza, una ricerca anche egoistica di benessere, una possibilità di esorcizzare una nostalgia o una malinconia, condividendola. Scrivo per dare ordine al mio disordine mentale e dell’animo. Questo è molto produttivo perché mi dà la possibilità di captare immagine o emozioni in contesti insperati. La scrittura a volte è anche compulsiva, perché non ne posso fare a meno. Nessuno è perfetto dicevamo.
Alla base dell’afflato c’è quasi sempre l’elaborazione di un istinto sincero e poi ecco di nuovo l’egoismo nella ricercadell’emozione. Ma captare un turbamento o una trepidazione è importante perché rappresenta un indizio che anche il lettore possa avere una simile percezione.
Poi cerco sempre di sorprendermi di fronte a un’immagine, un viso inespressivo, una piccola luce che non si sa da dove proviene. Scrivo perché spesso non ho risposte ma solo domande, avessi risposte me le terrei per me. Per racchiudere nelle parole le vite sfiorate o sfiorite, le immagini cercate o inventate. Alla fine di tutto scrivo per conservare le essenze accumulate.
E poi ho anch’io le mie scelte razionali, quelle che orientano un racconto o anche poche righe perdute in un post, verso una riflessione o l’intenzione di esplorare un significato.
Scrivo nonostante sono ben cosciente che la passione è solo un punto di partenza e che da sola non basta ma ha bisogno della ricerca, della curiosità, dell’osservazione e infine di tanto lavoro se vuoi creare qualcosa che diverrà indistruttibile come un libro.
Grazie mille.
Un grande in bocca al lupo e mi auguro in prossime presentazioni del “Un paese perfetto”.