Era nell’aria. Anzi di più, imminente. Sono settimane, infatti, che a tutti i livelli dell’apparato di potere russo – governo, enti statali, pubblica amministrazione – si dichiarava volentieri a mezzo stampa che il vaccino sarebbe stato registrato presto. Ma per il tap-in finale, ovviamente, si aspettava lui. Lo zar. Che come sempre – mago dell’effetto speciale – non ha deluso. Così, Vladimir Putin, nell’annunciare al mondo che la Russia è arrivata prima nella corsa al vaccino, ha tirato in ballo persino “una delle sue figlie” sostenendo che “ha preso parte ai test e sta bene“. Insomma, è sicuro e funziona. La mossa di Putin suscita però, legittimamente, una salva di dubbi, all’estero come in patria. Perché lo sviluppo del vaccino (nome di battesimo: Sputnik V, niente meno) è avvenuto a tempo di record.
“Il punto – afferma il ministro della Sanità americano Alex Azar – è avere un vaccino sicuro per gli americani e per il mondo, non essere i primi“. In Germania sono andati oltre. Il ministro della Salute tedesco ha espresso perplessità sulla “qualità, l’efficacia e l’assenza di rischio” della formula russa mentre il presidente dell’associazione federale medica tedesca, Klaus Reinhardt, ha sparato ad alzo zero. “La registrazione di un vaccino senza la terza serie decisiva di test la considero un esperimento ad alto rischio per l’uomo: potrebbe trattarsi di una misura populista di uno stato autoritario che vuole mostrare al mondo la sua forza“, ha detto al Rheinische Post. E in effetti ha ragione. La terza fase di test è appena cominciata. Tanto che anche in Russia c’è chi ha chiesto di andare più piano. La testata indipendente Meduza ha riportato, ad esempio, che l’Associazione delle Organizzazioni di Sperimentazione Clinica (ACTO) aveva recentemente chiesto al ministero della Salute russo di rinviare la registrazione del vaccino elaborato dal Centro federale di ricerca per l’epidemiologia e la microbiologia Gamaleya (uno dei 26 ufficialmente depositati all’OMS) poiché era stato testato “a malapena su un centinaio di persone“. Inoltre la formula si basa su un vaccino MERS (Middle East respiratory syndrome) che è ancora in fase di sperimentazione e quindi “non ci sono motivi per trarre conclusioni sulla sua efficacia”. Ecco, questa cosa degli studi pregressi del Gamaleya in realtà potrebbe essere, stando ad alcuni esperti, una buona spiegazione del perché i russi sono andati così spediti. E si sentano tanto sicuri da iniziare la produzione di massa e già da ottobre la vaccinazione – “assolutamente volontaria“, ha precisato Putin – su certi segmenti della popolazione, come insegnanti e operatori sanitari. Comunque sia, l’Oms non ha intenzione di accordare sconti.
Il vaccino russo, ha detto a Ginevra in conferenza stampa il portavoce Tarik Jasarevic, dovrà essere sottoposto a “rigorosi esami e valutazioni di tutti i dati richiesti sulla sicurezza e l’efficacia” prima di ottenere l’approvazione dell’Organizzazione. Giustissimo. Intanto però fioccano le fughe in avanti. Il ministro della Sanità Yuli Edelstein ha fatto sapere che Israele ha in programma in proposito colloqui con la Russia: “Se ci convinceremo che questo è un prodotto serio allora proveremo ad avviare negoziati“. Il presidente serbo Aleksandar Vucic è più entusiasta. “Sarò il primo a iniettarmelo non appena i nostri esperti diranno che va bene“, ha dichiarato. La conquista del vaccino – una specie di corsa spaziale del XXI secolo – ha d’altra parte ricadute economiche potenzialmente enormi, sia in termini di commercializzazione del farmaco in sé che di vantaggi competitivi sul teatro globale grazie alla capacità di evitare un secondo lockdown. Non a caso il capo del Fondo russo per gli investimenti diretti (RDFI) Kirill Dmitriev ha assicurato che c’è “un grande interesse all’estero per il vaccino russo“. “Abbiamo ricevuto richieste preliminari per l’acquisto di oltre 1 miliardo di dosi di vaccino da 20 Paesi”, ha dichiarato. Tra questi dovrebbero esserci gli Emirati, l’Arabia Saudita, l’Indonesia, le Filippine, il Brasile, il Messico e l’India. Il piano, se tutto va bene, è di produrre entro la fine del 2020 ben 30 milioni di dosi per la Russia e oltre 200 milioni per l’estero grazie a partnership locali. Se fosse davvero così per il Cremlino ci sarebbe veramente un effetto-Gagarin.
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