Viaggio nella Napoli sull’orlo della povertà

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di Giuseppe Parente

Sono tanti i cittadini napoletani che da tempo non hanno problemi a denunciare la propria condizione di povertà, mettendo la faccia sul gorgo nel quale sono precipitati a causa della crisi economica. Ma esistono altrettanti partenopei che cercano di non ostentare le loro difficoltà economiche, i loro giusti bisogni quasi come quando si nasconde un peccato e si dimenano, lottando a denti stretti tra bollette da pagare, figli da mantenere agli studi e ricerca di offerte al discount per mangiare spendendo il meno possibile.

Dietro i nudi e freddi dati Istat, vi sono le storie singole che solo pochi coraggiosi riescono a raccontare in pubblico.

Michele, docente di Italiano e Storia in un istituto superiore, con Nunzia sua moglie commessa in un negozio di articoli da regalo da poco licenziata e tre figli da mantenere agli studi è disposto a parlarci della sua condizione di povertà, precisando di vivere nei pressi della stazione ferroviaria, in un condominio del dopoguerra, in una casa composta da tre stanze, i servizi e la cucina da rifare.

“La cucina è vecchia di trenta anni, si sfoga la moglie, ma non ci sono soldi per comprarne una nuova”. La loro è la classica famiglia diventata all’improvviso monoreddito, con tre figli da mantenere agli studi, di cui uno solo universitario, che si arrangia lavorando dal venerdì alla domenica sera in un pub per 75 euro la settimana, ovviamente in nero.

La meritata vacanza, dopo un anno di lavoro e di studio, per i ragazzi è diventata soltanto un ricordo di tempi felici e tranquilli, ma anche il paio di scarpe nuove o un imprevisto in casa come può essere il guasto della lavatrice, diventa un serio problema perché soldi non ce ne sono. “Prima o poi, questa crisi finirà, i nostri giovani troveranno buona occupazione – esclama Michele, trovando la forza di sorridere, segno evidente di come, nonostante tutto, si resti ottimisti in questa dignitosissima famiglia.

Ha 57 anni, la pensione non è vicina, ma lui neanche è intenzionato ad andarci, perché metterebbe in tasca ancora meno, poi d’altronde è sano e vuole andare avanti ed è sempre entusiasta di insegnare Italiano e Storia ai suoi alunni che chiama affettuosamente “ragazzi”.“Fino a tre anni fa – ci racconta il professore – in famiglia si andava bene con due stipendi, la casa finita di pagare anche grazie ad un piccolo mutuo onorato mese per mese, poi mia moglie è stata licenziata, con una buonuscita minima, un regalino di amicizia”.

Il capitolo più avvilente da affrontare riguarda le rinunce. È stato costretto a privarsi dell’auto che aveva i suoi anni ed è stata rottamata, per risparmiare i costi di mantenimento. Ora si muove per lo più a piedi o con i mezzi pubblici. Del resto la parola d’ordine è risparmiare. La signora Nunzia è impegnata nel destreggiarsi tra i banchi del supermercato alla ricerca delle offerte, badando anche al centesimo.

La casa, per fortuna non è grande, e da quanto è stata licenziata passa le sue giornate a fare la spese e pulire la casa, tenuta come una bomboniera. La mamma partenopea ha una grande paura, quella che qualcuno dei suoi familiari si possa ammalare.
Con la povertà, anche una malattia diventa un lusso…