Un raffinato tappeto di mosaico bianco con una doppia cornice nera a delimitare il salone affacciato a picco sul mare di Napoli. Sparito duemila anni fa, quando la favolosa dimora passò nelle mani di Augusto, rispunta nella Villa imperiale di Pausilypon un pavimento che potrebbe finalmente raccontare qualcosa del suo primo proprietario, il ricco e feroce cavaliere campano Publio Vedio Pollione, commerciante di vini e uomo politico di successo, vicino all’imperatore, che l’onorava spesso della sua compagnia, fino a quando non lo mise in imbarazzo al punto da meritare, una volta morto, qualcosa di molto vicino alla damnatio memoriae.
Tanto che Augusto, erede dei suoi beni, ne occupò le abitazioni, la bella casa di Roma e la villa di Napoli. Ma volle cancellare ogni traccia del suo primo padrone, la cui amicizia, scrive Tacito, gli veniva rimproverata anche molti anni dopo.
Le novità, dopo due millenni di storia e almeno due secoli di ricerche archeologiche, arrivano da uno scavo che l’archeologo Marco Giglio dell’Università Orientale di Napoli ha condotto con la concessione del ministero della Cultura e in accordo con la soprintendenza all’archeologia, belle arti e paesaggio del comune campano, impegnata in un progetto di valorizzazione del parco archeologico di Posillipo.
Mentre con Angela Bosco e Rosario Valentini si sta lavorando per mettere a punto un modello tridimensionale di tutti i resti di questo settore dell’enorme villa. “La nostra è ancora un’ipotesi”, sottolinea all’ANSA Giglio, che in questa prima campagna di scavi, incentrata sulle terme superiori della villa e poi su una terrazza che durante la seconda guerra mondiale era stata trasformata in una postazione militare, è stato affiancato dai suoi studenti. Composto da minuscole tessere bianche, il pavimento di quello che potrebbe essere stato il salone di Pollione, spiega, si trovava in realtà sotto alle terme fatte costruire presumibilmente dall’imperatore e poi più volte ristrutturate e modificate.
I ricercatori ottocenteschi, guidati da un naturalista, lo avevano trovato ma forse non lo avevano capito, così come non erano riusciti ad interpretare fino in fondo le funzioni degli ambienti termali e delle sale di servizio che li affiancavano, tra cui un praefurnium , ovvero il forno in cui ardevano le braci destinate a riscaldare il calidarium.
“Le nuove indagini ci hanno permesso di capire che l’ambiente con il mosaico è più antico delle terme e appartiene a un salone che si affacciava sul mare ed era ben più grande rispetto al locale che poi è stato occupato dai servizi delle terme”, dice Giglio. [33e352d6aa] Manca ancora una datazione stratigrafica, premette l’archeologo, ma in base allo stile quel salone potrebbe risalire “all’età tardo repubblicana o al massimo Augustea”.
Augusto regnò dal 27 a. C., Pollione è morto dodici anni dopo quella data, nel 15 a.C., ed è allora che la sua favolosa villa napoletana è passata nelle mani dell’imperatore. Che già da qualche tempo però, almeno secondo quanto raccontano Seneca e Cassio Dione, aveva preso le distanze da un “amico” diventato scomodo proprio per il suo lusso esagerato, i comportamenti riprovevoli e la smodata crudeltà.
Nato da una famiglia di ex liberti provenienti da Benevento, Pollione fondava la sua ricchezza sulla produzione e il commercio del vino e doveva il suo potere ad una serie di prestigiosi incarichi politici, in Asia Minore dove fu proconsole, e poi anche come amministratore di una proprietà imperiale in Egitto. L’uomo non godeva però di buona fama: Cicerone ne parla malissimo (“Numquam vidi hominem nequiorem”, scriveva di lui, ovvero: “non ho mai incontrato un uomo più iniquo”) e si racconta un episodio spiacevole dovuto ad una valigia piena di ritratti di matrone romane che gli avevano concesso i loro favori.
Soprattutto si tramanda di una cena, proprio a Posillipo e con Augusto tra i suoi invitati, in cui per punire uno schiavo colpevole di avergli rotto un bicchiere aveva ordinato di farlo mangiare vivo dalle murene giganti della sua peschiera. Seneca e Cassio Dione scrivono che l’imperatore intervenne a fermarlo, salvando lo schiavo e ordinando che tutti i vetri preziosi della casa venissero rotti e gettati nella piscina.
Ma questo non dovette bastare all’imperatore che poi, diventato proprietario di quei beni, decise di rivoltarli come un calzino per far dimenticare a tutti a chi erano appartenuti. La casa romana all’Esquilino, prima di tutto, che fece radere al suolo per sostituirla con un Portico dedicato alla sua Livia. Ma anche la grandiosa villa al mare, costruita in uno dei luoghi più suggestivi della costa napoletana, con le stanze affacciate sull’isola di Gaiola e le dependance che arrivavano fino alla spiaggia, da una parte la cala dei Trentaremi, dall’altra quella dei Lampi.
Augusto la trasformò in un enorme complesso imperiale, aggiunse edifici sontuosi, porticati, giardini, persino una parte pubblica con un teatro da 2mila persone e un altro per la lettura delle poesie. Al posto del salotto con vista in cui Pollione intratteneva gli ospiti e faceva sfoggio dei suoi beni, ordinò invece di sistemare le terme, anzi i locali di servizio per la sua personale spa. Chissà, forse ancora una volta a marcare le distanze.
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