Amore, solidarietà, amicizia, lavoro, femminismo, sorellanza … può un unico libro racchiudere tutti questi temi? Risposta affermativa, come nel caso di Vincenzina ora lo sa di Maria Rosaria Selo, edito da Rizzoli. Una storia che rapisce, fin dalle prime pagine, e ti porta indietro nel tempo, in una storia della Napoli che è stata recentemente. Tutto inizia e termina con l’Italsider, una fabbrica ( ‘o cantiere, così come definita dagli operai e dalla gente del tempo ) che ha fatto il bello e il cattivo gioco della città partenopea. Ma partiamo con ordine, cos’è stato l’Italsider di Napoli? In parole povere è stato il primo stabilimento siderurgico a ciclo completo, che ha prodotto davvero tanto, e in termini economici ha dato lavoro davvero a tante persone… ma a quale prezzo? Un prezzo carissimo, un aumento smisurato di tumori polmonari a causa dell’amianto, il principale elemento utilizzato per la produzione, il più usato all’epoca ma al contempo molto nocivo per l’uomo. Tante sono state le persone morte nel corso degli ultimi 40 anni proprio a causa di tumore contratto per il respiro di aria tossica in quelle zone e in quella fabbrica. Ed è il caso di Ferdinando, il padre di Vincenzina, un uomo che ha dato tutto se stesso per ideali di giustizia e per dare alla propria famiglia un futuro migliore, lontano da quella fabbrica. Ma il destino vuole che Vincenzina prenda le redini del comando nel momento in cui viene a mancare il padre: abbandona gli studi universitari per entrare nel contesto del cantiere come addetta alle pulizie, un ambiente inizialmente ostile, oscuro, ma dove riesce poi a scoprire la solidarietà tra donne e l’amicizia, sentimenti che sbocciano come fiori nel deserto e del tutto inaspettati. Tutta la storia si concentra in un periodo di tempo tra l’inizio degli anni ‘70 e gli ‘80, un periodo ricco di trasformazioni per l’Italia, di manifestazioni che hanno fatto la storia (vedi quella sul diritto all’aborto), ma anche un periodo dove in varie fabbriche, compreso l’Italsider, crescevano le lotte operaie per garantire i diritti dei lavoratori. Ed è proprio grazie a queste situazioni in cui si trova catapultata che riesce a prendere coscienza, a capire il suo ruolo effettivo nella sua famiglia e nella società, riprendendo con forza in mano quella bandiera rossa, simbolo del comunismo vero, che suo padre custodiva gelosamente, per dare una smossa a tante situazioni, personali e non solo, è consapevole che non a tutti è permesso ottenere ciò che si è sempre desiderato ma che con determinazione e coraggio ci si può sempre migliorare: Vincenzina riesce così a continuare un’opera iniziata da suo padre, Vincenzina ora lo sa.
Ho amato fin dalle prime pagine la personalità di Vincenzina, è stato un classico colpo di fulmine. Una donna forte, coraggiosa, saggia e ricca di Valori. Una sognatrice, ma con i piedi ben saldi a terra. La rabbia e il dolore che si annidano dentro di lei lasciano man mano spazio alla forza, al coraggio di osare e di pretendere dei cambiamenti, per sé come per la sua famiglia, le sue amiche e la fabbrica stessa. Un plauso è doveroso farlo all’autrice che è riuscita a far entrare il lettore nel vivo della storia, a fargli quasi toccare con mano la Napoli che è stata, a fargli vivere come se fosse reale il calore fortissimo emanato dalla fabbrica e l’alienazione degli operai.
Ho avuto modo di poter conoscere Maria Rosaria, e di chiederle un’intervista che ha rilasciato per i lettori di RoadTv Italia:
Maria Rosaria Selo, scrittrice di spicco della narrativa napoletana … chi è Rosi? Raccontaci di te!
Non è sempre facile parlare di se stessi, poiché si rischia di essere banali o autocelebrativi. Per rispondere in maniera corretta, ti dirò che sono Maria Rosaria come scrittrice e Rosi come donna e amica. Amo la letteratura da sempre, ed è stato questo amore a convincermi di cimentarmi nella stesura di un romanzo, attraversare quel ponte immaginario che porta agli altri il proprio pensiero. Col passare del tempo mi sono resa conto di avere imboccato la strada giusta, che quando scrivevo ero compiuta, e quindi da lì l’esigenza di raccontare storie soprattutto di donne, legarmi a loro con quel filo rosso che ci tiene unite nelle lotte, nelle condivisioni di vita, di scrittura e di pensiero. E’ come se avessi piantato un seme tanto tempo fa che ora è germogliato in una pianta della quale devo avere cura, ed è la scrittura.
Vincenzina ora lo sa, il titolo del libro prende spunto da una nota canzone di Enzo Jannacci: come nasce in te l’idea di questa protagonista?
La mia è stata un’esigenza legata al territorio. Vincenzina è una giovane donna che vive e lavora nella fabbrica più grande del Centro Sud, l’Italsider, a cavallo degli anni ’70. Anni duri e rappresentativi di un cambiamento politico e sociale, anni di trasformazioni, di lotte sindacali e operaie, di autodeterminazione delle donne, di Leggi importanti che hanno spianato il terreno alle ragazze di oggi. E poi raccontare uno stralcio importante di Storia contemporanea, mettere su carta un periodo che spesso gli studenti liceali ignorano, spiegare loro da dove partono la classe operaia e la coscienza di classe, cosa vuol dire dover ancora soffrire per le morti bianche nei cantieri, da dove parte il sacrificio della propria vita costretta al rischio e a una catena di montaggio per una busta paga che è comunque dignità per ogni essere umano, uomo o donna che sia.
Italsider, croce e delizia della Napoli anni ‘70, tanto lavoro e prospettive di crescita economica ma anche tanti tumori. Tu hai saputo descrivere perfettamente la struttura di questa fabbrica e gli operai che ne facevano parte: da quali fonti hai studiato quella realtà?
Come accennavo prima, l’Italsider è stata una realtà importantissima per Bagnoli e per la Campania tutta. La fabbrica ha dato pane e quindi lavoro a circa 10000 operai, più l’indotto, ma altresì morte e veleni. Io non ho vissuto personalmente la Fabbrica, ‘O Cantiere, come viene definito dagli stessi ex lavoratori, quindi per scriverne ho visto decine di documentari legati al lavoro dall’apertura nel 1904 a oggi, ho ascoltato interviste, spillato articoli di giornali, consultato l’archivio storico Vera Lombardi e contattato alcuni degli operai che hanno vissuto quell’inferno che, per paradosso, è stato salvifico per loro. Chiunque abbia lavorato nello Stabilimento, lo porta nel cuore come la cosa più preziosa al mondo. E questo è estremamente commovente.
Una tematica che viene a galla nella storia è la lotta per il diritto all’aborto …
Per noi donne la questione dell’aborto è cosa assai seria. Se ne deve parlare, sempre. La legge 194 del 1978 è stata indispensabile per salvare vite, poiché di aborto clandestino si moriva. La donna ha il diritto di scegliere, soprattutto quando c’è una impossibilità a portare avanti una gravidanza, magari frutto di uno stupro, oppure per una inadeguata condizione economica, fisica e psicologica. E’ un argomento pungente, ma bisogna parlarne e io, come scrittrice, ho la penna che mi consente di mettere su carta il mio pensiero a riguardo.
Italsider, una fabbrica ormai abbandonata a se stessa da 43 anni ormai, vari sono stati i progetti per far rinascere la zona nel corso di questi anni … ma perchè alla fin fine restano solo parole al vento?
Questa è una domanda difficile, e anche rischiosa. Diciamo che, dal mio punto di vista, troppi sono gli interessi politici e anche economici, di sfruttamento del territorio e di progetti improponibili e inattuabili. La zona è altamente inquinata, quindi andrebbe bonificata e poi utilizzata per diverse utilità, da quelle turistico alberghiere, fino alla costruzione di un nuovo stadio cittadino. Anche a Città della Scienza, che dopo qualche anno consentì una rivalutazione del territorio, c’è stato un incendio doloso. Gli abitanti sperano e aspettano, ma sono stanchi di inutili parole di propaganda.
Il riscatto sociale di tutti, ma in particolar modo delle donne anni ‘70, avveniva tramite lo studio, la crescita personale, oggi in svariati casi ( non in tutti per fortuna ), sembra che il riscatto avviene attraverso i social, l’apparenza, il mostrarsi, attraverso la strumentalizzazione di se stesse, un po’ come Giulia, la sorella di Vincenzina … come mai secondo te? La storia recente non ha insegnato nulla alle nuove generazioni?
In piena onestà, non vorrei fare il solito anacronistico discorso sulla nocività dei social e quant’altro. I nuovi mezzi di comunicazione servono, sono utili e oramai quasi indispensabili (agli scrittori, per esempio, quando si organizza una presentazione basta mettere l’evento su Facebook o Instagram per informare il pubblico) però bisogna avere la misura, usarli in modo corretto, altrimenti il mondo virtuale è un mostro che ingoia, e può distruggere una vita. L’episodio di Giulia, va contestualizzato nel periodo storico. Al tempo non c’erano i social, quindi nessuna influencer da seguire o accessori costosissimi da desiderare. Giulia agisce per istinto e disperazione, e alla fine utilizza il corpo per allontanarsi dalla povertà.
La storia d’amore tra Ferdinando ed Antonietta, genitori di Vincenzina, è davvero intensa, bellissima, un amore d’altri tempi. Può ancora esistere al giorno d’oggi, in una società “liquida” come la nostra, un Sentimento così profondo?
I tempi sono cambiati, è vero, ma l’amore questo non lo sa. Quando si ama di una passione pura non si può fare a meno di vivere l’altro, trascorrere il maggior tempo con lui o lei, dividere la vita. Io ci credo ancora in questo sentimento così forte. Gira tutto intorno a questo bene prezioso.
Le lotte al caporalato, le lotte di classe, trovano grande spazio nel tuo libro, delle realtà che hanno fatto parte della classe operaia anni ‘70 … Oggi è ancora così?
Purtroppo sì, è la cruda realtà. C’è sempre un mondo sommerso (forse neanche tanto) che ingoia chi abbassa la testa e diviene preda. La povertà fa questo, apre la strada alla disonestà e allo sfruttamento. Le fabbriche chiudono, si spostano all’Est, dove la manodopera costa meno, e la lotta è sempre dura. In Italia, inoltre, ci sono ancora i caporali che decidono chi deve lavorare e chi no sfruttando gli emigranti, e ciò è estremamente vergognoso. Chi scappa da una guerra, non può affrontarne un’altra in un territorio di pace…
La solidarietà tra donne, come quella raccontata nel tuo libro, esiste davvero secondo te?
Esiste. Bisogna avvicinarsi e comprendersi, ascoltare, accettarsi anche nei difetti, purché non ci sia falsità. Aiutarsi e difendersi soprattutto, fare rete, fare squadra. Le donne sono aperte al mondo, partoriscono, danno luce, e quando si uniscono possono rivoluzionare un universo intero.
Vincenzina ora lo sa è stato fin da subito un grande successo editoriale … cosa ne pensi? Te lo aspettavi?
Diciamo che più che altro ci speravo. Vincenzina è frutto della mia fantasia, ma è diventata così reale che addirittura mi sembra di vederla camminare quando sono nei pressi di via Cocchia, o attraverso il vialone che porta a Coroglio, alla fabbrica. Ne seguo il passo fiero e ne sono orgogliosa come una madre con la propria figlia.
Se fossi una venditrice, cosa diresti ad un lettore per fargli acquistare questo tuo libro?
Che leggerà una storia vera, di grande umanità, di passioni tenaci, di forza e grande determinazione.
Progetti per il futuro?
Un romanzo che è in fase di editing, la stesura di articoli per alcuni quotidiani e, soprattutto, il corso di scrittura creativa che svolgo presso il Carcere Femminile di Pozzuoli, impegno settimanale al quale tengo moltissimo. E poi la scrittura, sempre.
Un romanzo intenso, crudo ma al contempo ricco di speranza. I momenti bui della vita possono far male, ma se affrontati con caparbietà e con coraggio si possono combattere. Una seconda chance esiste sempre, per tutti, basta avere un’unica arma, il coraggio, come quello di Vincenzina.
Ringraziando nuovamente Maria Rosaria per la disponibilità e gentilezza concessa per questa mia intervista, ricordo che “Vincenzina ora lo sa” può essere acquistato nelle migliori librerie o seguendo questo link https://www.rizzolilibri.it/libri/vincenzina-ora-lo-sa/
Ad maiora, Maria Rosaria!