Lady in the city: “Un topo in trappola, arrestato Zagaria”

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Lady in the city: "Un topo in trappola, arrestato Zagaria"Lady in the city

Rubrica di Eliana Iuorio

Canuto, curvo.
Lui, il “boss dei boss”, “capastorta”, “il capo dei capi del clan”.
Guardo la foto segnaletica scattata in Questura, a Caserta.
Rivedo il video dell’arresto.
Nessun eroe da romanzo.
Un uomo anonimo, canuto, curvo.
Un camorrista.
A 4 metri di profondità, in una villetta di quella stradina di Casapesenna, paesino dell’agro casertano, il capo indiscusso del potere criminale ed affaristico del clan dei casalesi viveva come un topo.
Un bunker attrezzato come per resistervi sotto i bombardamenti: pareti mobili, telecamere, comfort, letture.
“Gomorra”, di Roberto Saviano; “L’impero”, dell’inviato de Il Mattino Gigi Di Fiore; “Solo per Giustizia” e “I gattopardi”, i due bestsellers del magistrato antimafia Raffaele Cantone (sue – da sostituto procuratore presso la Dda di Napoli fino al 2008 – le inchieste sulla presenza e le infiltrazioni del clan a Parma, come a Milano: interessi nel cemento e negli affari immobiliari, nella produzione e distribuzione alimentare, nel riciclaggio di denaro).
Gli agenti circondano l’edificio a notte inoltrata, o si direbbe, alle prime ore del mattino.
Ruspe in azione, a scavare lì in quella casetta di proprietà di una famiglia dal cognome-programma: Inquieto.
Ad Aversa, mesi orsono, gli stessi agenti, alla ricerca del boss, avevano scavato a lungo, sotto un negozio, di proprietà degli stessi.
Un “nulla di fatto” ed il risarcimento danni da corrispondere.
Una giusta intuizione, dice qualcuno.
Ma in questa storia, nulla è stato lasciato al “caso”.
Il lavoro delle Forze dell’Ordine e della Magistratura è stato alacre, incessante, continuo, negli anni che si sono susseguiti.
Michele Zagaria si arrende allo Stato, chiedendo di non sparare.
Michele Zagaria abbassa il capo, quello che portava su fiero, davanti ai magistrati, oggi.
Michele Zagaria, che porge la mano al Giudice Raffaello Magi, l’estensore della sentenza Spartacus che lo ha condannato all’ergastolo, definitivamente.
Michele Zagaria, che ripete: “E’ finita”, realizzandolo solo al sentirlo pronunciare per prima da Catello Maresca, sostituto procuratore presso la Dda di Napoli, tra i magistrati del pool (guidato da Federico Cafiero de Raho), che ha condotto le indagini per la sua cattura.
Michele Zagaria, un camorrista latitante da 16 anni, che viveva come un topo; mandante di omicidi e abile imprenditore di se stesso; lui che sapeva muovere con semplicità, le sue “pedine”, tra gli affari economico-politici dalla sua zona (spingendosi ben oltre i confini di casa sua e raggiungendo quel nord ignaro dell’esistenza del fenomeno “mafie”),oggi: sette dicembre duemilaundici, in una giornata di sole – dopo le lunghe giornate uggiose, sulla terra casertana – vede la luce giusto il tempo di finire in Questura e di essere trasportato al 41 bis, nel penitenziario di massima sicurezza di Novara.

Penso agli amici giornalisti presenti, al momento dell’arresto.
Loro, che non mollano mai e che erano lì con il cuore, l’anima, la testa, la carne.
Come sempre.
Loro che aspettavano questa notizia da tanto tempo.
Loro che immagino in lacrime, e che scorgo spumante alla mano, nelle immagini fotografiche di un’agenzia stampa nazionale.
E’ a loro, che penso questa sera.
Così come a tutti coloro che hanno contribuito a questa vittoria dello Stato.

Michele Zagaria è sempre stato lì. A Casapesenna.

A volte, senza una certezza, una conferma seria alle nostre parole, sospetti e chiacchiere, lo abbiamo pensato in tanti.
Era lì. Sotto il nostro naso, a vivere, comandare, spadroneggiare.
Il pavimento del bagno, a fargli da soffitto.
Tenuto celato alla giustizia, da una rete di connivenze.
“Coperto” da chi lo proteggeva, intenzionalmente.
“Non siete nessuno” – pare abbia detto ai poliziotti uno degli Inquieto, proprietario dell’abitazione che nascondeva il sig. Zagaria (e subito arrestato, mentre la moglie è stata denunciata “a piede libero”) –
Difendere lo zar, anche durante la rivoluzione, anche quando arriva la cavalleria a liberarti, anche quando tutto è finito. Fa strano.
“Per noi, questo è un giorno di lutto” – pare abbia dichiarato uno degli avventori di un bar di Casapesenna – “Lui c’era sempre, quando avevamo bisogno di lavoro o di denaro. Dov’era, lo Stato?”
Già. Lo Stato.
Quello che ad oggi può considerarsi l’artefice della distruzione del clan: sul piano militare e su quello economico, grazie anche alle confische dei beni  ed alla loro riutilizzazione per finalità sociali, assegnati ad enti e cooperative.
I cittadini onesti s’interrogano, chiedono aiuto.
Che si occupi questo “vuoto”: che si faccia presto.
La presenza delle Istituzioni sia forte, ora.
Non abbandoniamo questo territorio a se stesso.
La vittoria, quella definitiva, spetta a noi, al nostro impegno, per giungere a quel “cambiamento” tanto invocato.
Ma questo è un momento estremamente delicato; gestire questa libertà potrebbe essere difficile, in assenza di importanti interventi, sul piano sociale ed economico.
Se vogliamo davvero brindare ad una vittoria definitiva, dobbiamo giocare ora, tutti insieme, una partita che non possiamo permetterci di perdere.

Così, il Magistrato Raffaele Cantone, su Tiscali notizie: “E’ vero che non ci saranno più i Casalesi come li conoscevamo, ma non per questo viene sradicata la camorra in quel territorio; ora l’organizzazione sarà costretta a cambiare pelle e gli eredi ci sono già, come ben sa chi conosce quella realtà e sa leggere alcuni segnali che vengono dalla provincia di Caserta. La mia idea di un clan dei Casalesi che chiude i battenti non significa che la guerra sia finita. Avremo di fronte nuovi avversari, una camorra capace di operare anche senza un clan forte alle spalle grazie ai referenti e ai rapporti che erediterà di quella parte di imprenditoria in grado di muoversi con logiche mafiose”.

Stasera il cielo è oltre la finestra, per noi altri; ma ironia della sorte, per il sig. Michele Zagaria: camorrista, ex “primula rossa” ed ex “capo dei capi” che viveva a 4 metri di profondità, sarà solo attraverso le sbarre.

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