Fare chiarezza sulla prematura morte di Sabrina, l’elefantessa simbolo dello zoo di Napoli deceduta lo scorso 24 ottobre. Questo vuole la Lav, lega antivivisezione, che ha chiesto oggi alla Procura di Napoli di disporre un’autopsia sul cadavere dell’animale per accertare le cause, e le eventuali responsabilità umane, che hanno portato alla morte dell’elefantessa Sabrina.
Sabrina: dietro la sua morte si cela un errore umano?
Quali medicine prendeva? A quali terapie era sottoposta? Chi sono i veterinari coinvolti? Hanno davvero fatto di tutto per salvarla? Queste e altre domande si pongono i membri della Lav, associazione che da sempre lotta contro il maltrattamento degli animali. E proprio questo la Lav chiede di appurare: che non ci sia stato alcun maltrattamento nei confronti di Sabrina, e che la sua morte non sia in qualche modo riconducibile alle condizioni in cui era tenuta allo zoo. Purtroppo si sa che le condizioni di vita offerte negli zoo non sono mai in tutto e per tutto identiche a quelle che gli animali troverebbero in natura: la cattività molto spesso debilita e deprime gli animali, insieme allo stress di un flusso costante di visitatori che ne “disturbano” le attività quotidiane, e non è certo un toccasana per la loro salute.
GUARDA IL VIDEO: Viaggio nello Zoo di Napoli tra degrado e speranza
Ma accanto a quella che è una verità ormai risaputa, la Lav solleva, per quanto riguarda il caso specifico, un altro problema. Un problema che riguarda lo zoo di Napoli. Recentemente “acquistato” dall’imprenditore Floro Flores, che ne ha scongiurato il fallimento, promettendo di trasformarlo in pochi anni in un giardino zoologico all’avanguardia, che nulla avrà da invidiare agli standard europei, anche e soprattutto per quanto riguarda i “comfort” offerti agli animali, lo zoo di Napoli non ha ancora, ad oggi, tutte le autorizzazioni del Ministero dell’Ambiente necessarie per legge. Secondo la Lav, allo zoo di Napoli gli animali non sarebbero sempre tenuti secondo le condizioni imposte dalla legge: sarebbe questo il caso anche dell’elefantessa Sabrina.
Ecco in che condizioni era tenuta Sabrina
Sabrina infatti viveva sola, nonostante gli elefanti siano animali sociali, e per decenni ha “abitato” in uno spazio ristretto, troppo piccolo per la sua pachidermica mole, totalmente privo di vegetazione e con un esiguo acquitrinio. Tutte circostanze che potrebbero aver influito negativamente sulla sua salute. E poi, la cosa peggiore. Quello a cui si accennava prima, lo stress rappresentato dai visitatori, a cui Sabrina era perennemente esposta: pur avendo un piccolo rifugio, in cui l’elefantessa poteva ripararsi per la notte, durante il giorno l’accesso alla struttura le era interdetto. Sabrina non aveva mai la possibilità di sottrarsi agli sguardi dei visitatori, dai quali la separava una recinzione di metallo fatta di punte acuminate, e quindi era costretta a stare sempre in mostra, contrariamente a quanto prescrive la normativa vigente in materia, che obbliga a garantire a ciascun animale uno spazio privato in cui ripararsi a suo piacimento. E se l’elefante (o il leone, o il cammello) quel giorno ha la luna storta, il visitatore non lo vedrà. Pazienza.
Per Sabrina invece non era, non è mai stato così. Tutto lo stress accumulato in questi anni, in cui le sue condizioni di vita sono state a dir poco scadenti, e la sua privacy e la sua identità di animale non è stata rispettata, potrebbero, secondo la Lega AntiVivisezione, aver influito negativamente sulla sua salute, e provocato la morte precoce dell’elefantessa Sabrina, scomparsa a soli 56 anni.